Menu

Domenico Clerico, il coraggio di sognare ad alta quota

  • Vota questo articolo
    (2 voti)
  • Letto 8262 volte

Domenico Clerico ha gli occhi che brillano, e nel suo sguardo c'è tutto. È insieme pacifico e inquieto, allo stesso tempo allegro e malinconico. Guardandolo negli occhi, lucidi per l'emozione, intuisci il perché del nomignolo con cui lo chiamava suo padre, "aeroplanservaj": i suoi sogni si librano ad alta quota. E a incoraggiare i voli del vignaiolo di Monforte è la sua geniale irrequietezza.

Clerico, si sente ancora un "aeroplano selvaggio"?

Non proprio, anche se ho conservato il mio carattere, sempre impaziente. Con gli anni mi sono tranquillizzato, ma giro ancora molto, facendo i miei 45mila km all'anno per promuovere i nostri vini.

La sua avventura nel mondo del vino iniziò nel 1976, quando suo padre le consegnò le redini dell'azienda di famiglia, che all'epoca conferiva le uve senza vinificarle. Lei ebbe una grande intuizione...

All'epoca facevo l'agente di commercio, quando – assieme a mia moglie Giuliana – decisi di tornare alla vita di campagna. Raccolsi il testimone di mio papà, decidendo di vinificare in proprio le uve che fino ad allora conferivamo alla Cantina Sociale Terre del Barolo. Partimmo con cinque ettari di vigneti di dolcetto, cui negli anni si aggiunsero appezzamenti di altri cru, arrivando oggi a 21 ettari di proprietà: Bussia nel 1976, Ginestra nel 1981, Pajana nel 1990, Mosconi nel 1995, fino all'ultima sfida, nel 2006, con l'affitto della Badarina a Serralunga d'Alba.

«Noi lavoriamo sempre per arrivare alla miglior vendemmia possibile, prima in vigna e poi in cantina, cercando ogni anno di sperimentare qualcosa di nuovo. La parola chiave è 'evoluzione', perché ciò che un tempo cambiava lentamente, oggi è decisamente più rapido».  

Clerico - I vigneti

Zone di eccellenza per il Barolo, anche se la vostra gamma comprende anche altri vini.

Solo rossi: Langhe Doc Dolcetto "Visadì", Barbera d'Alba Doc "Trevigne", Langhe Doc Nebbiolo "Capisme-e" e Langhe Doc Rosso "Arte". Quanto al Barolo, abbiamo fatto molta strada, dagli inizi, quando cominciammo acquistando botti di birra esauste, che dalla Germania arrivavano già smantellate alla stazione di Monchiero, che oggi non esiste più da vent'anni! Ce le consegnava un contoterzista con il suo vecchio FIAT 142. Questo è ciò che potevamo permetterci. All'epoca le cantine erano piene dei vini a base nebbiolo: Barolo, Barbaresco, Roero, Gattinara, Ghemme... finché, con l'avvento delle moderne tecniche
di produzione, si svegliò il mercato del Barolo. Era la prima metà degli anni '90. Ma i promotori di questo movimento sono state le aziende storiche: i Conterno, Bruno Giacosa, Pio Cesare, Rinaldi, Gaja, Ceretto... Vinificare nebbiolo e tenerlo tre anni in cantina fu un bel sacrificio, ma ne è valsa la pena.

Modernisti contro tradizionalisti: termini che suonano antichi... È passato il tempo di questa contrapposizione?

In realtà, questa divisione fu un'invenzione giornalistica che fece la fortuna della nostra zona. Ad ogni modo, l'esasperazione dei concetti di "legno nuovo" e "barrique" allontanò da ciò che, realmente, i nostri diversi approcci significarono: il messaggio per cui i vini dei "modernisti" sanno di legno, visto l'invecchiamento in botti piccole, al contrario di quelli dei "tradizionalisti", non è completamente corretto. Ciò che di moderno c'era, per l'epoca, furono innovazioni oggi condivise da tutti i produttori: in primis in vigna, con il diradamento, per puntare sulla qualità invece che sulla quantità. E poi in cantina, con la "pulizia del vino". Fino ad allora i vini puzzavano: la grande intuizione fu quella di travasare più spesso i vini, cosa che in passato si faceva troppo poco perché non c'erano gli strumenti adatti e quindi non era facile. Oggi anche i "tradizionalisti" diradano e usano i rotomaceratori, e i "modernisti" fanno macerazioni più lunghe rispetto al passato e scelgono le tostature dei legni con più cura...

In conclusione, non esiste più questa differenza. E se penso a botte piccola o botte grande, penso che il legno è lo strumento che ciascun produttore utilizza per fare un grande vino, seguendo la propria interpretazione personale.

«La differenza fra 'modernisti' e 'tradizionalisti' non esiste più. E se penso a botte piccola o botte grande, penso che il legno è lo strumento che ciascun produttore utilizza per fare un grande vino, seguendo la propria interpretazione personale». 

Domenico Clerico

Parliamo di mercati?

Produciamo 110mila bottiglie, esportando in 43 Paesi di tutto il mondo, anche se il nostro primo mercato rimane l'Italia, che assorbe oltre il 50% della nostra produzione. Fuori dai confini nazionali vendiamo molto negli Stati Uniti, dove possiamo contare su una rete di 15 importatori in altrettanti Stati. Abbiamo buoni numeri anche in Giappone e a Hong Kong, e quello scandinavo resta un mercato costante, a differenza di altri "vecchi" mercati, decisamente altalenanti. In ogni caso, non inseguiamo mai i gusti del mercato, così come non ci basiamo sui punteggi delle riviste: è tutto troppo volubile, come la moda... Oggi viene, domani va. Noi lavoriamo sempre per arrivare alla miglior vendemmia possibile, prima in vigna e poi in cantina, cercando ogni anno di sperimentare qualcosa di nuovo. La parola chiave è "evoluzione", perché ciò che un tempo cambiava lentamente, oggi è decisamente più rapido.

A proposito di cantina e progresso, spenderei due parole sul progetto firmato dal geometra Francesco Romano e dall'architetto Marco Gini, una vera e propria cattedrale del vino nel cuore delle Langhe, uno scrigno che custodisce la perla preziosa della moderna barricaia.

Non è una cattedrale del vino... è una cantina. Ho chiesto all'architetto di realizzare qualcosa di originale, mantenendo però la funzionalità al di là del fattore estetico, e che si inserisse nel paesaggio dolcemente. C'erano solo erbacce lì: ora c'è una struttura moderna, un segno del mio amore per queste colline. Perché chi non ama il lavoro che fa, ha sprecato la propria vita. Finché ci sarò, continuerò a lavorarvi, poi lascerò tutto ai miei nipoti e alla gente delle Langhe.

Clerico - La Cantina

Se dovesse scegliere la sua "etichetta del cuore"?

Percristina. Eccezionale nelle annate 2004, 2001 e 1999. Quelle più recenti promettono benissimo, ma non sono ancora pronte. La vigna, ai Mosconi di Monforte, la comperai nel '95 da un'anziana signora, Cristina, che insistette non poco per cedermela. Era una vigna vecchia, piantata negli anni '50, qualitativamente importante ai miei occhi, perché rigogliosa e ben curata, con il portinnesto Rupestris du Lôt, pressoché abbandonato in Piemonte a partire dagli anni '70 – '80, con il reimpianto di viti nuove ovunque. Queste viti sono molto delicate, hanno bisogno di più cura rispetto ai vigneti più giovani. Ma in cambio producono uva di qualità estrema, che mi dà un Barolo che necessita di un affinamento più lungo rispetto alla media: io lo tengo in legno per cinque anni. Ma ne vale la pena. Il Percristina non assomiglia a nessun altro Barolo: è Percristina e basta!

Chiudiamo con un aneddoto relativo alla sua vita di vignaiolo?

Era l'inverno del 1993. Con Roagna e Altare avevamo programmato un viaggio nella Loira, per bere del buon vino e per carpire qualche segreto ai produttori francesi, dai quali abbiamo ancora da imparare parecchio, anche solo per il fatto che noi abbiamo sì e no un secolo di storia vinicola alle spalle, loro almeno tre. Comunque: ci presentiamo all'appuntamento, prenotato due mesi prima, puntualissimi per mezzogiorno. Ci accoglie una robusta signora di mezz'età, che ci chiede di tornare un'ora e mezza dopo, perché il responsabile non c'era. Piuttosto scocciati, mangiamo due panini, e verso le 13.30 ci ripresentiamo. Eccolo che arriva: grande, grosso, barbone incolto. Ci riceve, chiedendomi che lavoro faccio. "Sono viticoltore", rispondo. "E non hai niente da fare in vigna?", replica. Stesse domanda, medesima risposta, identica replica per Altare e per Roagna. "La vigna ha più bisogno di me di quanto ne abbiate voi – riprende, accomiatandosi –: se vi fa piacere, ci vediamo alle 21 stasera". Perplessi, sconcertati e arrabbiati, lo vediamo allontanarsi. Tenaci e perseveranti, ci ripresentiamo in serata. Un'accoglienza strepitosa. Siamo andati avanti fino alle tre di mattina degustando bottiglie eccezionali: a quell'ora la vigna riposava. Lui era Didier Dagueneau. Quanto abbiamo ancora da imparare...

Clerico - Aeroplanservaj

Ultima modifica: Mercoledì, 21 Agosto 2013 09:43
torna all'inizio

Chi Siamo

  • Il progetto Wine Pass
  • Lo staff
  • Contatti
  • Privacy Policy

Login or Register

  • Forgot your password?
  • Forgot your username?
  • Create an account