Nascetta Story, un film racconta il bianco ribelle delle Langhe
- Scritto da Gabriele Pieroni
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Così Paolo Demarie, titolare della Demarie di Vezza d’Alba (CN), racconta a Wine Pass la sua personale esperienza di comunicatore enoico. Ruolo che affonda le radici nel suo appartenere alla terra: prima di tutto come produttore di vino, poi come conoscitore delle sue colline, il Roero, e infine come appassionato dei luoghi in cui vive: «Tanto che le vigne sono complici della mia storia d’amore», confessa. E racconta di come ha conosciuto la moglie, bolognese, durante una grigliata sui terreni dietro casa. Lei, da sempre appassionata di vini, era spesso apostrofata dagli amici: «Pensa se ti sposi un produttore…».
«E così è successo», precisa Paolo. «Da quel giorno, galeotte le colline di Vezza, non ci siamo più lasciati». Ora, Monica e Paolo, che hanno avuto un bambino, Matteo, rappresentano la terza generazione dell’azienda, dove hanno infuso il loro amore per le vigne e un modo più spigliato di comunicare.
«Quando nel 2000 ho deciso di dedicarmi all’azienda di famiglia, con me è giunta una piccola rivoluzione produttiva», racconta Paolo. «Se fino ad allora avevamo venduto vino principalmente sfuso, il nuovo millennio era l’occasione giusta per incominciare l’imbottigliamento».
«La nostra azienda aveva la qualità necessaria per fare il passo. Nel 1972 Gino Veronelli scrisse una splendida recensione dei nostri vini, a partire dal nebbiolo della mitica Vigna Varasca, la più vecchia di tutte, piantata nel 1946 dal fratello maggiore di mio padre, la nostra punta di diamante. Così, nel 2000, decisi di inviargli altre bottiglie. Lui le assaggiò e scrisse: “Hanno rinnovato emozioni e due – quelle a base di Nebbiolo e di Arneis – sono solari”».
Il momento era propizio e Paolo comincia a girare il mondo per promuovere i suoi vini: «La comunicazione è sempre stata nelle mie corde. Ora però desideravo fortificare il brand e uscire dai canali tradizionali. Ho cominciato da subito a credere nelle potenzialità di Internet, rifacendo il sito. Era il 2005 o 2006, un periodo abbastanza precoce. Volevo una comunicazione istituzionale forte e identitaria, da cui poterci, in seguito, aprire con i social network».
«Di fatto nel 2012, io e mi moglie abbiamo deciso di intraprendere un corso sui nuovi media e abbiamo aperto profili Twitter e Facebook. Se nel resto d’Italia le esperienze fiorivano, nel Roero non c’era quasi nessuno, benché meno nelle Langhe: sembrava una forzatura».
Ma al contrario, l’esperienza si è rivelata vincente: «Oggi usare i social per noi è parte della quotidianità, soprattutto Twitter. Dedichiamo un paio di ore al giorno a monitorare la rete, a fare uno scatto, a elaborare un post. Abbiamo scoperto il piacere di comunicare senza mediazioni ciò che facciamo in cantina e abbiamo visto che questa sincerità è in grado di aprire delle porte».
È così ad esempio, che alcuni loro tweet sono stati letti e ripresi dall’America, dal Giappone, dalla Corea, diventando un’occasione per conoscere nuove persone e appassionati: «In questi paesi i social network sono parte integrante della vita delle persone. Sono un mezzo utilizzato attraverso il quale intavolare discussioni, conoscere le persone e decidere – nel caso dei vini – su quali etichette investire. Con Twitter abbiamo intrapreso relazioni con giornalisti, commerciali, buyer ed enoturisti. Relazioni che si sono consolidate, in seguito, con la visita in cantina».
Proprio così. Perché Paolo Demarie crede moltissimo nel territorio, nella visita sui luoghi di produzione, nel contatto diretto. «Essere online è bello, ma non è tutto. Molte volte, alle aziende vitivinicole, manca tutto il resto. In Italia, ad esempio, dobbiamo studiare un sistema per gratificare il consumatore che arriva a degustare i vini in cantina e, nel contempo, il produttore che utilizza il suo tempo per presentarglieli. È arrivato il momento che si identifichi la visita in cantina e le degustazioni come un servizio prezzato. Uno standard che ogni produttore stabilisce a monte per liberare l’enoappassionato dall’obbligo di comprare le bottiglie e il produttore dal lamentarsi per la mancata vendita. Un sistema più “teutonico”, forse più freddo, ma di sicuro più trasparente».
Ma l’investimento sui social network ha davvero un ritorno economico per un’azienda? «Dobbiamo pensare ai social come ad una pulce nell’orecchio. Un sistema non invasivo che mette il consumatore sull’attenti. Con i social, ad esempio, abbiamo pubblicizzato l’apertura della nuova cantina, con buoni risultati. Oppure, in collaborazione con ristoranti e spa, oggi stiamo promuovendo dei pacchetti turistici che prevedono la visita in cantina abbinata ad altre attività sul territorio. I social sono il mezzo per arrivare ad un faccia a faccia con le nostre etichette. E una volta conosciuta la fatica e l’amore che sta dietro un prodotto, il consumatore difficilmente resta indifferente».
Alice Feiring, scrittrice e autrice acclamata dalla critica, premiata con il James Beard Award e il Louis Roederer Award, già candidata all’ International Feature Wine Writer 2011, ha recentemente visitato l’Italia. Ha risposto alle nostre domande fornendo la sua opinione sui vini naturali in Piemonte, sulla sua carriera come autrice e sulla traduzione in italiano del suo libro Vino (al) naturale.
La storia del marchio Ceretto comincia nel comune di Santo Stefano Belbo agli inizi del ‘900, quando Riccardo, il patriarca, impara a fare il vino per i clienti della locanda di famiglia. Negli anni ‘30 si trasferisce ad Alba e comincia a produrre con il nome di Ceretto.