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Da Passum ad Avié, la storia del packaging enoico

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Passum, Cascina Castlet Passum, Cascina Castlet

Mariuccia Borio di Cascina Castlet racconta la storia delle etichette che, con una buona dose di follia e di visionarietà hanno cambiato il design del vino.

Volevamo un’etichetta unica, ne abbiamo creata una di avanguardia

C’erano le etichette con la casetta del contadino e quelle con la vigna. C’erano quelle con il grappolo d’uva, le colline e, ancora, quelle con lo stemma di famiglia. E poi c’era l’etichetta di Passum, Barbera d’Asti Superiore prodotta da Cascina Castlet. Siamo nel 1985 e il design applicato alle etichette è ancora un campo da esplorare. Non per Mariuccia Borio, che con un gesto di ribellione rivelatosi vincente, commissionava a Giacomo Bersanetti (oggi uno dei più importanti artisti del packaging enoico in Italia) quello che sarebbe diventato il più celebre e blasonato “vestito” della Signora in Rosso: «Volevamo un’etichetta unica, ne abbiamo creata una di avanguardia», dice la titolare di Cascina Castlet.

«Avevamo capito che Passum meritava un segno di riconoscimento sperimentale perché era un vino inconsueto, da conservare per le occasioni speciali, ottenuto da uve appassite e vendemmia tardiva. In quegli anni produrre Barbera era un’operazione controcorrente – continua Mariuccia Borio –. Così ci siamo detti: se Passum è speciale, merita un’etichetta che non assomigli a nulla di ciò a cui siamo abituati». Tanto che, di primo acchito, neanche a Cascina Castlet erano pronti. «Quando Bersanetti mi svelò la bottiglia – ricorda la Borio – io esclamai: “Che cos’è?”. Non capivo. Mi piacque però così tanto che decisi di lanciarla sul mercato». L’etichetta di Passum sfidava tutte le convenzioni. Niente supporto di carta adesiva, un unico segno in gioco con il colore del vino, l’utilizzo della serigrafia direttamente sul vetro, primo esperimento di questa tecnica su bottiglia. «Sfidammo anche la disposizione dei dati dell’etichetta raccogliendoli sul collo, per enfatizzare l’essenzialità del contenitore».

Anche il simbolo scelto per rappresentare il Passum era misterioso e spiazzante, nato dall’esercizio grafico di Bersanetti sulla lettera “Phi” dell’alfabeto greco: «Ma ricorda anche la “P” di Passum – precisa la Borio – in un rincorrersi di antico e moderno che ben rappresenta la natura del nostro vino». L’etichetta fu un successo. Le riviste specializzate si contendevano l’immagine di questo piccolo capolavoro: «Vinum la premiò con due pagine. Scrissero: “La svolta nelle etichette, l’innovazione italiana”». Oggi la “Phi” di Passum è un classico del design enoico, celebrata da mostre e citazioni. Come quando fu scelta per la rassegna Torino 2008 World Design Capital, inclusa nella mostra Enografie, che rappresentava il meglio dell’incontro tra Vino e Design.

 

Un’altra etichetta di Mariuccia Borio fu scelta per l’occasione: quella dell’Avié, Moscato passito Doc di Cascina Castlet. «Anche per questa etichetta, nata nel 1990, scegliemmo la stampa serigrafica. Ma questa volta il simbolo fu sostituito dall’impronta della mia mano – racconta la produttrice –. È la mano che cura tutte le fasi della vinificazione, che in vigna compie la cernita e adagia i piccoli grappoli nelle ceste».

Ma è anche il simbolo dell’incontro fra produttore e consumatore secondo il termine piemontese avié, che indicava il momento in cui, durante le sere d’inverno, le famiglie si trovavano nel tepore delle stalle per scambiarsi esperienze e raccontare le favole ai bambini. «Quello che più mi rende orgogliosa di queste etichette – conclude la Borio – è che sono diventate oggetti da collezione. Le persone non buttano la bottiglia, ma la conservano in modo che possacontinuare a raccontare la sua storia».

Aviè

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