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Canelli

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Città di inizi, città di fini. Per i personaggi di Cesare Pavese era la porta del mondo o l’invalicabile cancello della loro vita provinciale. L’ultimo baluardo delle Langhe (o il primo del Monferrato), dove lo scorrere del tempo si misurava ancora in base al lavoro contadino, di contro al calendario delle metropoli scandito dalla scientificità dell’orologio.

 

Canelli mi piaceva per se stessa, come la valle e le colline e le rive che ci sbucavano. Mi piaceva perché qui tutto finiva, perch’era l’ultimo paese dove le stagioni non gli anni s’avvicendano. Gli industriali di Canelli potevano fare tutti gli spumanti che volevano, impiantare uffici, macchine, vagoni, depositi era una lavoro che facevo anch’io – di qui partiva la strada che passava per Genova e portava chi sa dove. […] Canelli è tutto il mondo – Canelli e la valle del Belbo – e sulle colline il tempo non passa.
Cesare Pavese, La Luna e i Falò

Perché a Canelli ci puoi arrivare o da Canelli puoi partire. E non sai mai se prenderlo come punto di riferimento o luogo di passaggio, che si proietta altrove. La città è sorta nel primo vero slargo pianeggiante che il corso del torrente Belbo crea lungo il suo incedere verso la pianura del Tanaro ed è l’ultimo centro importante prima che le colline dell’Astigiano diventino Langa, poi Appennino. È qui che, anticamente, arrivavano le vie del mare dalla Liguria e da qui partivano le carovane di Asti per Vado e Savona. E, soprattutto, è dalle sue colline che è cominciata la storia dell’Asti Spumante, che – pur radicandosi nel territorio tanto da scavare le sue cantine nel sottosuolo della città – ha conquistato i caveau d’ogni nazione diventando lo spumante italiano più apprezzato e bevuto al mondo e contribuendo alla fortuna di etichette come Gancia, Martini&Rossi, Riccadonna, Cinzano, Bosca, Coppo, Contratto.

Anche la morfologia dell’abitato di Canelli è duplice. Il “Borgo” si corica sulla pianura, seguendo lo zig zag del Belbo, per poi inarcarsi improvvisamente sulla collina dove sorgono la “Villanova” e il Castello: un tempo forte medioevale poi smantellato dagli spagnoli nel ‘600 e infine restaurato dalla Gancia, famiglia che qui incarna la storia stessa delle bollicine. Fu infatti Carlo Gancia, verso il 1850, dopo un periodo trascorso nelle cantine della Champagne, a credere che a Canelli potesse nascere uno spumante autoctono a base di moscato, in grado di conquistare le tavole per la dolcezza e il finissimo perlage. Ma le bottiglie scoppiavano in cantina come petardi, almeno a credere alle foto che ritraggono gli operai protetti da grembiuli in cuoio e maschere da scherma: gli “champagnisiti”, com’erano chiamati – non senza un filo di ironia – i precursori dell’Asti Spumante. Pochi anni più tardi, l’Asti venne stabilizzato e il suo commercio fu un successo immediato, da subito proiettato verso i mercati esteri. L’Asti fu anche il primo Consorzio italiano a costituirsi nel 1932, imitato pochi anni più tardi da moltissimi altri consorzi in tutta la Penisola.

Oggi lo spumante e il Moscato d’Asti sono la colonna portante dell’economia di Canelli, che attorno a questi vini ha costruito una fiorente industria specializzata in macchine enologiche. Tanto fiorente che i Canellesi vantano un loro ingranaggio in ogni cantina del mondo degna di questo nome.

Ma la cittadina amata da Pavese grazie al suo piglio metropolitano e industriale è anche un luogo affascinante per la sua storia, specie quella dell’età Barocca, che ha lasciato segni inconfondibili sul territorio. Attraversando il borgo basso di Canelli si susseguono una serie di piazzette con oratori, chiese e palazzi secenteschi. Come la Parrocchiale di San Tommaso, nell’omonima piazza ai piedi della collina, rimaneggiata nel XVII secolo. Da qui, a lato dell’Oratorio dell’Annunziata, si inerpica la Stërnia, la ripida strada ciottolata che, affiancando piccole abitazioni rurali e crotin scavati direttamente nella roccia, conduce nella parte alta di Canelli fino al Castello, offrendo punti panoramici. Al terzo tornante si incontrano i sinuosi volumi in pietra e mattoni dell’Oratorio di San Rocco (prima metà del XVIII secolo) e, di fronte, la Parrocchiale di San Lorenzo, ricostruita verso la fine del XVII secolo.

È su questa suggestiva salita che ogni terza domenica di giugno si celebra la parte più animata dell’→ Assedio di Canelli, rievocazione storica della battaglia che, nel 1613, vide la città dello spumante trionfare sulle truppe dei Gonzaga pronte a impadronirsi del Monferrato ai danni dei Savoia.

Durante la rievocazione, Canelli e la Stërnia si trasformano in una città del ‘600 che, grazie all’opera di più di mille figuranti, rivive le fasi dell’assedio, coinvolgendo i turisti nella battaglia. Particolare attenzione viene prestata all’enogastronomia canellese, che ripropone i piatti della tradizione nelle osterie e nelle taverne allestite in tutto il centro storico in un tripudio di agnolotti, bollito alla piemontese, arrosto cotto sullo spiedo, zuppe di legumi e robiole di pecora. Il tutto innaffiato da vini selezionati per l’occasione.

Canelli, infine, non si può lasciare senza una visita alle → Cattedrali Sotterranee e al → MU.S.A., il Museo Multimediale del Sud Astigiano. Le prime sono le incredibili cantine delle aziende storiche scavate nel tufo su cui sorge la città, perfetto isolante termico per l’affinamento di grandi vini. Mentre il secondo è un ottimo esempio di come si possa raccontare la storia di un territorio attraverso la cura che il mondo contadino ha sempre tributato al vino, dai secoli passati alla recente industrializzazione di Canelli, sempre «orgogliosa – come ha scritto lo storico enogastronomico Gianni Brera – di non essere mai completamente città, e nemmeno irrimediabilmente paese».

    Ultima modifica: Martedì, 28 Maggio 2013 16:41
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