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Barbera, la "scalata sociale" della Signora in rosso

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Onnipresente Barbera. Dalle osterie di campagna all’eccellenza: storia, crisi e rinascita di un vino di carattere.

Il nome stesso della Barbera (vino) e del barbera (vitigno) – distinzione che utilizzerò in questo articolo per evitare confusione – rievoca una eco sonora che si diffonde in tutto il Piemonte: non c’è angolo vitato della regione dove questa fondamentale uva rossa non venga coltivata.

Dal Monferrato (sua terra natale) alle Langhe (dove contende al nobile nebbiolo e allo storico dolcetto il primato vitivinicolo della zona); dal Roero all’Alto Piemonte, fino a raggiungere le vette montanare della Valsusa e del Pinerolese (rarefatte isole vitate in provincia di Torino), sono decine le denominazioni d’origine legate indissolubilmente alla varietà, tra cui spiccano la Barbera d’Alba e la Barbera d’Asti per vocazione, numeri produttivi e prestigio. 

La presenza del barbera è cospicua anche fuori dal Piemonte. Così come il sangiovese domina l’intero bacino viticolo dell’Italia centro-orientale con qualche significativa presenza anche in alcune aree viticole del Sud, il barbera prevale a Nord, interessando sia la Lombardia - in particolare il distretto dell’Oltrepò Pavese – sia l’Emilia Romagna – nel Piacentino tanto quanto lungo le terrazze plioceniche dei Colli Bolognesi. 

Tornando al Piemonte, il barbera copre circa la metà dell’intero vigneto regionale. Una così vasta diffusione si concretizzò durante la ricostruzione viticola successiva alla crisi della fillossera, che distrusse la produzione vitivinicola piemontese nel periodo fra le due guerre. La  robusta capacità produttiva, la facilità colturale e la costanza nelle rese furono i motivi del suo successo. 

Dalla popolarità alla crisi 

Un successo che negli anni a venire si sarebbe consolidato anche dal punto di vista commerciale attraverso la produzione di un vino schietto e vigoroso, semplice nella costruzione, ma dotato di beva accattivante. Per tale ragione la Barbera fu a lungo considerata il rosso da pasto per antonomasia, venduta a buon mercato e sovente elaborata nella tipologia vivace o mossa (la tradizione racconta che una bottiglia di Freisa dolce veniva addizionata alla damigiana di Barbera per facilitarne la rifermentazione). 

Un vino il più delle volte rustico, ma così ben caratterizzato da essere ricercato sia nelle case di chi con il vino aveva un rapporto quotidiano, sia nelle piole, le piccole osterie di paese, per la sua capacità di accompagnare i piatti forti della tradizione (le acciughe, ad esempio).

Ma se tale spiccata “levità”, così distante dall’inavvicinabile austerità del nebbiolo, per molto tempo fu la sua fortuna e contribuì ad accrescerne la popolarità, per certi versi rappresentò anche la fonte principale dei suoi problemi. Dalla fine degli anni ‘60 e per tutto il decennio successivo la tipologia fu purtroppo penalizzata da interpretazioni mediocri, figlie dell’avidità di molte cantine e di una politica viticola priva di adeguati controlli. 

Il risultato fu disastroso: una perdita di credibilità allontanò consumatori, venditori, e cosa ancora più grave, tutti i produttori più seri, rassegnati a considerare la Barbera un vino dall’immagine inesorabilmente deteriorata. 

Rinascita e trasformazione

La storia della Barbera che conosciamo oggi comincia intorno alla prima metà degli anni ‘80, grazie alle intuizioni di Giacomo Bologna, vignaiolo e oste di Rocchetta Tanaro. Interprete tra i più carismatici del vino piemontese in quel fervente periodo storico, elaborò una Barbera d’Asti di grande respiro, maturata in barrique di rovere nuovo e capace di confrontarsi con i migliori rossi nazionali: il Bricco dell’Uccellone. Quel vino e il suo magnetico autore ebbero altri meriti: ridisegnarono drasticamente il profilo organolettico della denominazione (facendo lampeggiare il talento nascosto di un vitigno fino ad allora considerato “popolare”) e aprirono gli occhi a una generazione di nuovi e appassionati produttori, persuasi dalla bontà del progetto. 

La Barbera fu a lungo considerata il rosso da pasto per antonomasia, venduta a buon mercato e sovente elaborata nella tipologia vivace o mossa.

È da allora che questo vino-vitigno ha saputo fornire interpretazioni di eccellente levatura,  in grado di ottenere l’apprezzamento di critici e intenditori. La Barbera d’Alba Larigi ‘86 di Elio Altare, Conca Tre Pile 1989 di Aldo Conterno, la Barbera d’Asti Pomorosso ‘90 dei fratelli Coppo e la Barbera d’Alba Marun 1998 di Matteo Correggia – solo per citare alcune splendide bottiglie personalmente bevute – dimostrarono come la Barbera, se opportunamente condotta in campagna, poteva trarre dal rovere nuovo una profondità di trama e una ricchezza di sensazioni in linea con i parametri dei più ambiziosi rossi italiani.

Le esigenze del vitigno

Tuttavia perché il barbera, vitigno a maturazione tardiva, possa consegnare mosti di grandi potenzialità ha bisogno di sole (non è un caso che tra le tante varietà italiane coltivate in California questa sia quella più diffusa, in particolare nella bollente Central Valley).

La sua esigenza di calore – ama le temperature alte e costanti – trova conforto lungo i rilievi collinari bene esposti, poco ventosi, non molto elevati (la quota altimetrica ideale si aggira intorno ai 300 metri s.l.m.) e caratterizzati da suoli evoluti e ben drenati: esclusivamente in queste condizioni la sua naturale acidità e la sua spiccata verve fruttata possono essere condotte in una struttura omogenea e completa. 

È per tale motivo che, a dispetto della sua ubiquità produttiva, solo in tre comprensori viticoli ha fornito le prove più autorevoli: nel Monferrato Astigiano, in particolare sui suoli pliocenici che caratterizzano il circondario di Nizza Monferrato e di Agliano Terme (dove guadagna densità e accattivanti sfumature minerali); sulle poderose marne calcaree di Langa (zona che dona Barbera di ottimi attributi fenolici) e per finire sui bricchi sabbiosi del Roero, lungo i quali esprime vini caldi quanto succosi, dal frutto croccante e definito. 

La Barbera al suo meglio

L'acidità è il fulcro attorno al quale ruota la sostanza delle Barbera più risolute, in grado di proporsi piene e succose, generose e vitali, saporite e rinfrescanti a un tempo.

Quando la maturazione in rovere è condotta con maestria e la concentrazione degli elementi è ben proporzionata (in questi ultimi anni, purtroppo, molte selezioni si sono eccessivamente arricchite di estratti e di alcol, perdendo di vista le sfumature), i caratteri precipui del vino sono rappresentati da una solida intensità aromatica, da una modulata potenza, da un’accattivante carnosità tattile e da una tensione sapido-acida che supplisce alla fisiologica carenza di attributi tannici. 

L’acidità è il fulcro attorno al quale ruota la sostanza delle Barbera più risolute, in grado di proporsi piene e succose, generose e vitali, saporite e rinfrescanti a un tempo. Un rosso di assoluto valore, insomma, che per quanto lontano dalla complessità e dalla grazia evolutiva dei nebbiolo di maggior talento (Barolo, Barbaresco, Ghemme, Gattinara e Roero), sa competere con i più prestigiosi vini del mondo sul piano della piacevolezza e della capacità “gastronomica”. 

Ultima modifica: Mercoledì, 17 Settembre 2014 18:26
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