Langhe, Roero e Monferrato nell'olimpo dell'Unesco
- Scritto da Pietro Ramunno
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Langhe, Roero e Monferrato verso l’inserimento nel Patrimonio dell’Umanità
Le piramidi d’Egitto come la barriera corallina australiana, le cattedrali barocche dell’America latina come la grande muraglia cinese, al pari – si spera – dei paesaggi vitivinicoli di Langhe, Roero e Monferrato: la straordinaria bellezza delle colline vitate del Basso Piemonte, infatti, potrebbe presto rientrare tra le meraviglie tutelate dall’Unesco, l’organizzazione internazionale emanazione delle Nazioni Unite la cui principale missione consiste nell’identificazione, nella protezione e nella tutela e nella trasmissione alle generazioni future dei patrimoni culturali e naturali di tutto il mondo.
Il Patrimonio dell’Unesco rappresenta l’eredità del passato di cui noi oggi beneficiamo e che trasmettiamo alle generazioni future: secondo la Convenzione, per patrimonio culturale si intende un monumento, un gruppo di edifici o un sito di valore storico, estetico, archeologico, scientifico, etnologico o antropologico. Il patrimonio naturale, invece, indica rilevanti caratteristiche fisiche, biologiche e geologiche, nonché l’habitat di specie animali e vegetali in pericolo e aree di particolare valore scientifico ed estetico.
Sui 962 siti attualmente inclusi nell’elenco, l’Italia è la nazione che detiene il primato, con 47 siti che – presto – potrebbero diventare 48. Nel giugno del prossimo anno, infatti, dovrebbe arrivare il responso dei tecnici dell’Unesco relativo alla domanda presentata dall’Associazione per il Patrimonio dei paesaggi vitivinicoli del Piemonte “Langhe-Roero e Monferrato”, presieduta da Roberto Cerrato.
Per modalità di impianto dei filari, metodi di coltivazione, tecniche di produzione vitivinicola e particolarità dei borghi e degli insediamenti che si sono succeduti storicamente in territori ove la vite e il vino improntano in modo sostanziale l’economia locale, i paesaggi vitivinicoli piemontesi rappresentano un elemento di unicità.
«La nostra proposta mira a veder riconosciuto il valore peculiare dei paesaggi vitivinicoli piemontesi che, per modalità di impianto dei filari, metodi di coltivazione, tecniche di produzione vitivinicola e particolarità dei borghi e degli insediamenti che si sono succeduti storicamente in territori ove la vite e il vino improntano in modo sostanziale l’economia locale, rappresentano un elemento di unicità.
Il 1° febbraio di quest’anno, a Parigi, al termine di un lungo iter cominciato nel 2009, abbiamo presentato il dossier con la nostra candidatura, l’unica sostenuta dall’Italia – spiega Cerrato –. Sostegno che non va affatto sottovalutato, e per il quale il mio più sentito ringraziamento va all’onorevole Gianni Letta, che si è speso tantissimo per sostenere il nostro progetto. In ogni caso, pur certi del valore della nostra candidatura, dopo il deferral arrivato lo scorso anno a San Pietroburgo ci siamo interrogati seriamente sul da farsi, prima di riprovare».
«L’Icomos, organo tecnico incaricato dall’Unesco per l’analisi del dossier di candidatura, ha riconosciuto come certo il valore universale dei nostri paesaggi vitivinicoli – gli fa eco il vicepresidente della Regione Piemonte, Ugo Cavallera –. È consuetudine nelle procedure di candidatura richiedere approfondimenti finalizzati alla continuazione del processo valutativo. Pertanto il gruppo di lavoro costituito da Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Regione Piemonte, Province di Alessandria, Asti e Cuneo, Associazione per il Patrimonio dei Paesaggi Vitivinicoli e Siti (Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione, associazione collegata al Politecnico di Torino, ndr) ha valutato le strategie da adottare per ottenere il riconoscimento ufficiale dell’Unesco. Quindi, abbiamo adeguato il progetto alle osservazioni per rendere congruente il valore universale riconosciuto con i perimetri delle“core zone”».
Le scelte non sono state indolori, ma il risultato è un progetto dalle ottime possibilità di successo: il nuovo dossier presentato ha visto una riduzione complessiva dell’area candidata all’inserimento nel patrimonio Unesco, per un totale di 10.789 ettari su 29 Comuni (rispetto ai 101 della prima candidatura) all’interno delle sei core zone individuate, arrivando a 101 Comuni se il discorso viene esteso alle “buffer zone” (che erano, inizialmente, 230).
Ciascuna delle sei zone presenta caratteri di unicità, individuando altrettante peculiarità di un territorio meraviglioso, che diventa esclusivo nel momento in cui ogni area offre un particolare aspetto del mondo vitivinicolo.
«Il ridimensionamento dell’area delle core zone non avrà particolari ripercussioni sui Comuni esclusi – garantisce Annalisa Conti, consigliere dell’Associazione per il Patrimonio dei paesaggi vitivinicoli del Piemonte “Langhe-Roero e Monferrato”, rappresentante della Provincia di Asti –: siamo convinti che ogni Comune nel raggio di decine di kilometri dalle sei aree individuate beneficerà del riconoscimento dell’Unesco.Penso all’Astigiano, le cui aree inserite nella seconda domanda sono state modificate in maniera significativa rispetto alla prima versione, o al Roero, inserito nel titolo stesso della domanda di candidatura in continuità con le Langhe: la valenza culturale della Sinistra Tanaro è grandissima e costituisce un indiscusso valore aggiunto per la candidatura. Alla fine non è determinante l’inserimento nelle core zone, ma il risultato finale del riconoscimento, che avrà ricadute su tutto il territorio. Prendiamo le Dolomiti, ad esempio, dove è stato utilizzato questo criterio: i turisti, e l’opinione pubblica in generale, non fanno distinzione tra una cima e l’altra, ma sono le Dolomiti nel complesso a essere ricordate come Patrimonio dell’umanità. Qui vale lo stesso principio: nel momento in cui candidatura dovesse ottenere riconoscimento, ne godranno tutti i Comuni di Langhe, Roero e Monferrato».
Ciascuna delle sei zone presenta caratteri di unicità, individuando altrettante peculiarità di un territorio meraviglioso, che diventa esclusivo nel momento in cui ogni area offre un particolare aspetto del mondo vitivinicolo. La “Langa del Barolo” e le “Colline del Barbaresco”, alfieri del nebbiolo nel mondo, assieme al “Castello di Grinzane”, testimonianza mirabile della storia del vino italiano, legata a doppio filo al nostro Risorgimento. “Canelli e l’Asti Spumante”, omaggio alla città che ha visto nascere questo grande vino e patria della meccanizzazione enologica. Quindi “Nizza Monferrato e il barbera”, espressione della ruralità del territorio, sottolineando il carattere del primo vitigno piemontese, continuando ancora la provincia alessandrina, con il “Monferrato degli infernot”, le cave interrate così diffuse in questa zona, tipiche per la conservazione del vino.
Al di là del prestigio, il riconoscimento porterebbe a indiscutibili vantaggi dal punto di vista dei flussi turistici, come sottolineato da Gian Franco Comaschi, vicepresidente della Provincia di Alessandria, oltre che dell’Associazione per il Patrimonio dei paesaggi vitivinicoli del Piemonte “Langhe-Roero e Monferrato”: «Nell’arco di un quinquennio, si stima che l’inserimento nel Patrimonio dell’Unesco potrebbe portare a un incremento degli arrivi del 30% annuo, arrivando a guidare in queste zone circa un milione e mezzo, due milioni di turisti ogni anno. E vista la tipologia dell’offerta di questi territori, dove l’eccellenza paesaggistica si coniuga con un’offerta gastronomica di assoluto livello, parliamo di un soggiorno sul territorio che non si esaurisce in una visita di giornata. Piazza dei Miracoli, a Pisa, è straordinaria, ma una giornata è sufficiente per ammirarla: non mancheranno picchi legati alla stagionalità, ma le nostre colline, pur mantenendo caratteri di unicità, per poter essere pienamente apprezzate richiedono invece una permanenza media di tre o quattro giorni, garantendo un ulteriore sviluppo del comparto turistico e ricettivo».