My Vinitaly, sabaudi appunti di degustazione
- Scritto da Gabriele Pieroni
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- Pubblicato in La pancia del popolo
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Il vino piemontese, come un bicchiere ancora intonso, deve essere avvinato. Deve imparare a perdere un poco di spocchia nobiliare per avvicinarsi alle persone con la sua carica di gusti autentici e originali. E una qualità che non finisce di sorprendere: ecco i miei appunti di degustazione
Spesso il vino piemontese si presenta impettito, sul piedistallo. Tronfio e un po' goffo nel suo incedere, come un signore di mezza età coperto da troppi paltò, troppi cappelli e un bastone d'appoggio sproporzionato. Ma questa è la scorza di un'identità più complessa, che sotto l'austera cornice sabauda cela un cuore più grande e profondo, accogliente, capace di esprimere un mondo in continuo mutamento, un calderone di idee e ragionamenti da essere sovrabbondanti, stupefacenti.
Mi piace l'idea che il vino piemontese vada avvinato. Va colto nella sua autenticità dopo qualche bicchiere di prova, quando deve allentare la cravatta perché sente le caudane sul dorso, percepisce la testa pesante e si libera delle sue sovrastrutture.
Allora, il vino sabaudo, concede una faccia non nota, inaspettata, il lato oscuro della luna. Come crisalide vicina alla metamorfosi, dopo qualche bicchiere, lascia le pieghe del bozzolo alle spalle, si svela come farfalla e schiude universi di gusto spiazzanti, ricchi di una potenza che non ha pari, di una energia che scaturisce dal suolo, una geotermia di sapore.
Ma, come dicevo, il vino sabaudo, va avvinato. Bisogna concedergli tempo, degustazioni, errori e qualche bruttura, bisogna dotarsi di tanta, a volte troppa, pazienza. E bisogna vincere quell'apparenza scontrosa e supponente che pare sussurrare: "Io esisto oltre il consumatore, sono migliore di chi mi beve e posso farne a meno". Ma il vino, senza bicchieri, si fa aceto.
Finita la grande orgia Vinitalyana, cominciamo a sistemare i molti appunti di degustazione e cerchiamo e di identificare la faccia meno nota del vino piemontese, quella che regale emozioni semplici ed è carica di energie primaverili.
LA BARBERA NOBILE E QUELLA "SCIAPÓ"
«Questa è la Barbera più buona d'Italia!». Mi è stata presentata così da S.M. – di cui non svelerò il nome se non dopo molti bicchieri offerti - la Signora in Rosso by Marchesi di Alfieri. Che eleganza, che portamento, che grande Barbera l’Alfiera 2011: magniloquente e ampia come se fosse un Nebbiolo, ma succosa come solo la figlia del Monferrato (anche se qui siamo con due piedi nell’Astigiano) sa essere. Una Barbera che avvolge e non smette di parlare, anche molto dopo l’assaggio. Lei ha vinto tutti i riconoscimenti possibili, noi ce la godiamo astraendoci un attimo dalla folla. Consigliatissima.
Ma c’è un’altra Barbera che mi stupisce: è la versione di Umberto Brema, che ha raccolto un’eredità famigliare lunga oltre 200 anni a Incisa Scapaccino. È la Barbera d’Asti Docg Ai Cruss del 2012: dico che è la “sua versione” perché Umberto mi racconta: «Questa Barbera si è fatta un anno di botti grandi di rovere, da viti vecchie di 40, 50 anni». Perché non la fate Superiore, allora? «Perché noi la facciamo così, è così che ci piace e abbiamo visto che rappresenta meglio il terroir di Incisa Scapaccino». Una Barbera scalpitante, contadina ma generosa, con qualcosa dentro che la anima e la rende piacevole sia da sola sia, come è facile immaginare, con qualsiasi piatto. Sciapò (si lo so che si scrive chapeaux) alla forza di Umberto di rivendicare il vino come espressione di un saper fare personalissimo e unico.
IL RIESLING DEL ROERO
Da Incisa saliamo sul celebre Bricco delle Ciliegie di Giovanni Almondo. Ma lasciamo i suoi straordinari Arneis da parte per dedicarci al Sassi e Sabbia: Riesling Renano 100%, vinificato per sfida ed esperimento dal 2011. Mi colpisce l’etichetta. C’e scritto «2012», ma in penna l’ultimo «2» è stato sostituito da un «3». «Appena appena tirato fuori dalle botti», confessa Domenico Almondo. Un vino piacevolissimo e fresco, sottile nel colore e nella bocca, una carezza di luce che fa squittire di piacere. Attento Ettore Germano (il suo Hérzu è segnalato tra i migliori Riesling italiani), c’è un altro "Renano" piemontese sulla piazza…
L’ALBA(RONE) DI UN NUOVO INIZIO
C’era una cantina che mi ero ripromesso di visitare per scoprire la sua versione di Albarossa, il mitico vitigno ibrido creato nel 1938 dal professor Giovanni Dalmasso incrociando Chatus (Nebbiolo di Dronero) con il Barbera. Nonostante le grandi aspettative e la convinzione di aver creato un super vitigno, l'Albarossa non è mai "spuntata" del tutto sulle colline del Piemonte, finendo relegata a curiosità enologica.
Ma la cantina di Marco Bonfante, giovane produttore in Nizza Monferrato, ha deciso di rispolverare questo vitigno e lo ha fatto con una versione tanto particolare da meritare una menzione.
Marco, infatti, appassisce una parte delle uve vendemmiate di Albarossa con grandi «ventoloni», per ottenere un vino dai sentori passiti, suadenti, ma con un grande corpo. Il metodo utilizzato, le tempistiche e la percentuale di uve passite sul totale della produzione sono un segreto professionale. Ma il tutto, in qualche modo, richiama la tecnica veneta dell’Amarone. Da qui il nome (azzeccatissimo) di «Albarone», vino sorprendente, di confine. Perché ha radici piemontesi, portamento veneto e carattere internazionale.
L’Albarone di Bonfante è a tutti gli effetti un vino sperimentale, che il suo autore aggiusta e modifica di anno in anno: «Mi sono innamorato subito dell’Albarossa con i suoi acini piccoli e la buccia spessa – racconta Marco. E a questo amore ho aggiunto quello per le grandi uve passite della Valpolicella e della Valtellina. Avevo fatto esperimenti con il Nebbiolo e con la Barbera, ma il primo non è adatto a queste latitudini, mentre la Barbera è molto sensibile all’appassimento, che si può fare solo nelle annate migliori. Volevo un vino corposo, giustamente tannico, da bere giovane e da poter invecchiare».
Così, nel 2007, si parte con la prima vinificazione che, annata dopo annata, si perfeziona. Fino ad ottenere un 2010 a livelli spettacolari: un vino che stupisce per il colore di mora, quasi nero, perfettamente rispondente al naso e in bocca dove la frutta matura, i tannini e l’acidità si bilanciano con l’importanza alcolica (oltre i 15 gradi). Il risultato è una seta avvolgente ed elegante con profumi intensissimi e una complessità tutta da gustare e sviscerare.
LA NOTA DOLCE
Vinitaly è come un lungo, lunghissimo pranzo coi parenti. Dopo mille e mille portate succulente ma spossanti, arriva il momento del dolce, la scelta degli ultimi vini prima di andarsene. E qui la selezione si fa dura. Perché il rischio è quello di gettarsi in pasto ai soliti vini zuccherini, che mettono tutti d’accordo ma non soddisfano davvero, non lasciano la quella matta voglia di un ultimo, estremo bicchiere: il bicchiere del #Finitaly.
Colto da improvvisa folgorazione però, mi imbatto nel succo perfetto, quello che, da solo, vale i quattro giorni di Verona. Dolce, ma con moderazione. Inebriante e assuefacente, ma anche divertente e scoppiettante. Avrei voluto filmare il momento in cui mi è stato avvinato il bicchiere da cui mi sono trovato a suggere questo nettare: improvvisamente il cristallo è diventato bruno, nero, come se una nube avesse attraversato il vetro.
La meraviglia si chiama Le Margherite e i suoi produttori sono i fratelli Mossio, avventurieri di Rodello (vicino ad Alba) perché hanno esplorato tutte le possibili declinazioni enoiche di questa zona delle Langhe senza risparmiarsi gli esperimenti e alcune piccole pazzie produttive. Pazzie come Le Margherite: un passito di Dolcetto. Un Dolcetto dolce. Proprio così. E credetemi quando dico che non ce ne sono di migliori.
Gabriele Pieroni
Scrive di cultura e cibo, meglio se cibo culturale o cultura edibile. Adora il Kebab (ebbene sì!) nella sue innumerevoli varianti. Per lui il vino è prima di tutto un alimento, e come tale deve essere beverino, fresco, piacevole e soprattutto, sano. Chi lo conosce sostiene che vorrebbe essere in grado di scrivere una Grande Narrazione. Per ora si accontenta di diventare un buon giornalista, un ottimo gourmet e un piacevole commensale. Per Wine Pass cura i contenuti del web e collabora alla stesura del Magazine cartaceo. Seguimi su Twitter: @gapieron
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