Etichette vino: ha vinto il buonsenso
- Written by Gabriele Pieroni
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- Published in La pancia del popolo
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L’ultimo regalo del 2014 al mondo del vino arriva a poche ore dal classico brindisi di Capodanno. Il 31 dicembre, con una circolare, il Ministero delle Politiche Agricole ha garantito che il nome del luogo di produzione di un vino, anche se ricalca il nome di una Denominazione di Origine, potrà essere indicato in etichetta, sul sito e su tutti i materiali legati alla comunicazione del vino stesso. In pratica si potrà scrivere che un Barolo è stato vinificato nelle «Langhe» e che una Barbera viene dal «Piemonte».
Ai più, potrebbe sembrare un’ovvietà. Ma prima che la circolare del Ministero sancisse questo diritto, il 2015 si stava preparando ad una vera “battaglia topografica” tra Unione Europea e vignaioli.
La scintilla della battaglia scaturiva da una poco illuminata normativa europea (la 1308 del 2013) in cui veniva specificato che – a garanzia del consumatore – qualsiasi nome geografico ricalcante quello di una DO o una IG (le denominazioni che garantiscono e proteggono la qualità di un vino particolare) avrebbe dovuto essere espunto dai materiali di comunicazione di un’azienda vitivinicola. Per fare un esempio, l’espressione «prodotto in Piemonte » non sarebbe mai potuta comparire sull’etichette di un Barolo, perché il nome Piemonte è, di per sé, una DOC. Così, sarebbe stato impossibile comunicare su di un sito aziendale che una Barbera d’Alba nasce sulle colline delle Langhe o uno Chardonnay su quelle del Roero: dal momento che sia «Langhe» che «Roero» identificano una Denominazioni di Origine.
La normativa europea, che avrebbe dovuto essere recepita nel Testo unico della vite e del vino in discussione alla Camera dei Deputati in questi mesi, viveva di un eclatante paradosso: le stesse Denominazioni di Origine che avrebbe dovuto proteggere («Piemonte», «Langhe», ma anche «Toscana» per fare qualche esempio) venivano sminuite, private ed estromesse delle decine di grandissimi vini che proprio in queste aree venivano prodotti e che contribuivano a rendere grande il nome della DO.
Conscia di questa incredibile impasse burocratica, la Fivi (Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti), era da tempo salita sulle barricate. Fin dalle prime avvisaglie di questa minaccia, i Vignaioli Indipendenti avevano promesso una resistenza ad oltranza: se la norma non fosse stata modificata, gli 800 associati si sarebbero autodenunciati per violazione della norma, inondando gli organi di vigilanza di casi su cui prendere provvedimenti.
La Fivi chiedeva la necessità di distinguere tra «etichettatura vera e propria» e «informazioni equiparate all’etichettatura», per le quali il rischio di creare confusione nei consumatori è molto inferiore: «L’interesse a proteggere dalle usurpazioni le DO e le IG non può portare al paradosso per cui un’azienda non può indicare nei propri materiali di comunicazione la Regione dove ha sede», scrivevano in un comunicato i Vignaioli Indipendenti a inizio ottobre.
Il 31 Dicembre 2014, l’operazione ha dato i suoi frutti, costringendo – o consigliando – il Ministero a recepire la normativa Ue attraverso un’operazione critica più articolata. Secondo la circolare (che può essere trovata qui), ora il legislatore italiano permette di indicare in etichetta (in accordo con il disciplinare) il nome geografico di produzione del vino: cosa permessa anche su tutta la comunicazione aziendale, purché l’uso del nome sia utilizzato solo per chiarire la posizione geografica della produzione e non per fuorviare il consumatore. Questa possibilità comprende solo i vini a Denominazione (DOC , DOCG) e IGT , mentre sono escluse tutte le tipologie di vino inferiori.
Insomma, l’Italia ha allargato le maglie della normativa europea, agendo nella direzione del buonsenso. Un bel regalo per l’anno nuovo che fa tornare alla mente la acrosanta richiesta che la Fivi avanzava ad inizio gennaio 2014: l’ufficio unico per il controllo dell’etichettatura. Un luogo gestito a livello centrale o presso gli enti certificatori che controllasse, verificasse e stabilisse la conformità o non conformità di un’etichetta secondo le normative. Una struttura che ad oggi manca, condannando all’incertezza (e in alcuni casi all’abuso) degli enti preposti ai controlli. Ecco delinearsi un’altra battaglia, questa volta si spera, da combattersi con il corpo sindacale dei vitivinicoltori al completo.
Cover Photo: Revolv Web Creative Common License
Gabriele Pieroni
Scrive di cultura e cibo, meglio se cibo culturale o cultura edibile. Adora il Kebab (ebbene sì!) nella sue innumerevoli varianti. Per lui il vino è prima di tutto un alimento, e come tale deve essere beverino, fresco, piacevole e soprattutto, sano. Chi lo conosce sostiene che vorrebbe essere in grado di scrivere una Grande Narrazione. Per ora si accontenta di diventare un buon giornalista, un ottimo gourmet e un piacevole commensale. Per Wine Pass cura i contenuti del web e collabora alla stesura del Magazine cartaceo. Seguimi su Twitter: @gapieron
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